“Il 2019 verrà ricordato in Europa come l’anno dell’Open Banking”. Leggere dichiarazioni come questa non ha potuto che sollevare la curiosità ed il desiderio di approfondire quest’area che altro non è che la punta di un’iceberg che interessa non solo le banche, ma un intero ecosistema che comprende startup, bigtech, università, utility, case automobilistiche, società di consulenza, ed ogni attore in grado di proporsi in uno scenario nuovo ed aperto.
Nell’evento del 12 Novembre, organizzato dalla Commissione Startup e Settori Innovativi dell’Ordine degli Ingegneri di Milano, in collaborazione con le associazioni no profit AnalisiBanka ed Innovits, si sono esplorati alcuni dei filoni conduttori di questa rivoluzione grazie al contributo di relatori del settore finanziario, dell’università e del mondo dell’innovazione, al fine di fare un po’ di chiarezza sui concetti base di Open Banking ed Open Innovation tramite esperienze ed esempi concreti.
Dopo una introduzione da parte di Marco Ferfoglia ed Ivo Invernizzi (rispettivamente presidente e vicepresidente dell’associazione AnalisiBanka), con un accenno alla società definita liquida dal filosofo Bauman a monito della frenesia e necessità di seguire le mode per non sentirsi esclusi (ho sentito del resto parlare di pericolosa evoluzione in società gassosa per esasperarne la deriva), si è partiti da un intervento di Open Innovation da parte di Daniele Pes (presidente di CornerStone e membro del direttivo di Innovits) che ci ha ricordato come viviamo in un mercato che cambia ad una velocità a cui non siamo stati educati ed a cui siamo di fatto impreparati, e per stare al passo con la veloce trasformazione in essere, le aziende devono spalancare porte e finestre e diventare porose. Si è continuato con Fulvio Tamma (responsabile Open Banking e New Business presso il Banco BPM) che ha mostrato come una realtà bancaria consolidata ha scelto di cogliere le nuove opportunità offerte facendo leva sul suo Brand, ed apprezzare infine la proposta ed il punto di vista di una startup (Keos Finance) che ha fatto dell’apertura e condivisione delle competenze il suo punto di forza, con i due fondatori Donato Faioli e Valerio Marsocci, passando per un’infarinatura data da Simone Mazzonetto (Chief Audit Executive presso il Banco delle Tre Venezie e professore universitario) su come la tecnologia stia impattando nel bene (maggior facilità di tracciatura) e nel male (maggior difficoltà nell’adeguata verifica del cliente in ottica di antiriciclaggio) il mondo dei pagamenti digitali.
Ci sono stati infine tanti spunti per un opportuno approfondimento nella tavola rotonda conclusiva moderata da Ivano Asaro (direttore dell’Osservatorio Innovative Payments presso il Politecnico di Milano), durante la quale si è dato spazio a domande ed interventi del pubblico, in ottica di una sana “Open Innovation” sperimentata sul campo.
In definitiva l’incontro su Open Innovation & Open Banking è partito da un’analisi generale dell’evoluzione in atto, per andare poi in zoom su come uno specifico settore (quello bancario) si colloca in tale scenario.
Ma, per maggiore chiarezza, cosa si intende per Open Banking?
Si tratta di una trasformazione nata da una nuova direttiva europea (la PSD2) sui pagamenti digitali che dal 14 settembre obbliga le banche ad aprire a soggetti terzi l’accesso ai dati di pagamento presenti nei propri sistemi (tramite apposite interfacce dette API), previa autorizzazione dei clienti.
E’ evidente la chiara linea di rottura con il passato dato che le banche devono aprire al mercato un terreno in cui agivano un tradizionale dominio, e devono farlo con un nuovo modo di fare banca al fine di sfruttare a proprio vantaggio partnership con realtà capaci di aggredire fette di mercato in modo più veloce ed efficace, grazie a strutture più snelle e meno soggette a vincoli normativi e di compliace che rallentano invece le banche stesse.
L’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano ha allargato il concetto di Open Banking all’accezione più olistica di Open Finance & Insurance, intendendo che il cambiamento in corso riguarda non solo il settore dei pagamenti digitali, ma più in generale tutto il mondo bancario ed assicurativo ed i relativi servizi offerti.
A questo punto il passo ancora più trasversale verso l’Open Innovation è breve, tanto da considerare l’Open Innovation stessa come punto originario dell’intera metamorfosi.
L’economista e scrittore statunitense Henry Chesbrough nel in un suo saggio del 2003 dichiarava: «L’Open Innovation è un paradigma che afferma che le imprese possono e debbono fare ricorso ad idee esterne, così come a quelle interne, ed accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche.»
L’innovazione “chiusa”, fatta cioè completamente all’interno della propria azienda, non è più sufficiente essendo diventata ormai non solo troppo costosa, ma anche troppo lenta in un mondo che evolve sempre più rapidamente con distanze pressoché azzerate tanto da vivere in un mondo globalizzato.
Oggi parliamo quindi di innovazione “aperta” come un nuovo approccio strategico e culturale secondo il quale le imprese, per massimizzare la creazione di valore ed essere più competitive, ricorrono anche ad idee, strumenti, competenze e soluzioni che arrivano da realtà esterne.
Come si pongono le banche in questo nuovo e mutevole contesto che sembra creare forti asimmetrie competitive?
Le banche si trovano oggi di fronte ad uno scenario più ampio, apparentemente minaccioso, caratterizzato da realtà come startup capaci di aggredire fette di mercato in modo più veloce ed efficace, grazie a strutture più snelle e meno soggette a vincoli normativi e di compliance che rallentano invece le banche stesse, ma pure a colossi bigtech (Facebook, Amazon, Google, …) con capacità impressionante di acquisire e conoscere meglio i nuovi utenti rispetto ai tradizionali canali bancari.
In genere le realtà bancarie, per minimizzare il rischio reputazionale e tutelare la forza del loro brand, prediligono partner grandi, corporate che offrono servizi anche non finanziari, a discapito dei piccoli, quali possono essere le startup, che d’altro canto hanno forte bisogno delle competenze, del network e della struttura che la banca può fornire loro.
Io dico che sarà fondamentale per le grandi istituzioni bancarie trasformare la potenziale minaccia in opportunità, trovando una forma di collaborazione e simbiosi con l’ecosistema delle startup.
Un esempio lo troviamo oltremanica dove la FCA (Financial Conduct Authority, assimilabile all’Italiana Consob) ha istituito i così detti “Sand Box” (dal quadrato di sabbia sicuro in cui lasciare giocare i propri bimbi) che sono ambienti protetti che permettono alle startup di lavorare in stretto contatto con le banche nel pieno rispetto delle normative, in cui sono guidate con un monitoraggio attento e costruttivo nella conduzione della sperimentazione.
Le “isole felici” per le startup in cui istituzioni e realtà finanziarie possano agire il controllo, selezione e supporto delle startup, ed in cui la banca stessa non avrebbe più paura a sperimentare.
Ma allora l’Open Innovation rappresenta una minaccia o una opportunità per le banche?
Dato che di fatto non si è neanche di fronte ad una scelta, bisogna intraprendere questo percorso come una grande opportunità al patto di rimanere nel rispetto della normativa.
In Italia c’è qualcosa che inizia a muoversi e bisogna continuare a lavorare in questa direzione.
Vito Savino per InnoVits
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